Basato sul libro di Jake Tapper The outpost: An untold story of american valor, il lungometraggio adattato da Paul Tamasy ed Eric Johnson racconta le vicende accadute ai componenti della piccola unità assegnata nel 2009 al Combat Outpost Keating in Afghanistan.
Ai soldati dell’unità era stato affidato l’incarico, nell’avamposto Keating, di proteggere la base, di gestire i rapporti con gli anziani dei villaggi vicini, di supervisionare i progetti di aiuto per gli afgani, operando da una base che tuttavia era in un’area praticamente indifendibile.
“Benvenuti nel lato oscuro della luna”, dice un nuovo arrivato, e nel contempo si legge questa scritta su uno dei tanti letti a castello del dormitorio dell’avamposto: “Non c’è niente di meglio”.
La ‘guerra più lunga’ come è stato battezzato per sempre il lungo conflitto contro i talebani in atto, in sostanza, da dopo l’11 settembre 2001. Il paese del centro Asia ha vissuto prima l’invasione alla fine del 2001, poi il rafforzamento dei contingenti Usa e Nato, che hanno raggiunto la cifra di oltre 140 mila uomini (di cui 100 mila dei quali statunitensi) per mettere all’angolo i talebani. Il grande sforzo militare aveva ottenuto moltissimi risultati, i militari e le componenti civili che li hanno affiancato hanno fatto tantissimo per gli afgani, ma la guerriglia talebana, ha nonostante tutto, resistito. Successivamente con Barack Obama, si è avviato un progressivo ritiro delle truppe dall’Afghanistan, stimando, (mal) valutando che le forze governative afghane erano in grado di fronteggiare e battere i talebani.
Cosa che non è avvenuta. Vi è stato un ripensamento parziale nel 2017 ma poi l’amministrazione Trump ha avviato, dei clamorosi all’epoca, colloqui di pace con i talebani e il governo afgano, un passaggio fondamentale tutt’ora in corso che sembra essere in fase di stallo. I talebani dal canto loro si finanziano con il traffico di oppio e eroina, con le pietre preziose, con lo sfruttamento delle miniere sotto loro controllo e beneficiano, da sempre, del retroterra di appoggio rappresentato dalle zone di confine con il Pakistan. Le enormi somme di denaro che gestiscono gli consentono di comprare oltre alle armi, di ‘comprarsi’ le persone, la corruzione è pervasiva.
La ‘guerra più lunga’ ad oggi ha comportato che i talebani controllano oltre il 65% del paese, approfittando in pieno della presenza più ridotta delle forze occidentali. Il governo di Kabul chiede che le forze Usa e Nato non lascino il loro paese. L’appoggio a tutt’oggi cruciale che gli americani forniscono, alle forze nazionali afgane, è quello aereo, determinante in ogni situazione bellica sul campo.
Ricostruendo con accuratezza in The outpost: An untold story of american valor l’avamposto, il regista Rod Lurie, di origine israeliana e con un solidissimo curriculum prevalentemente legato alla tv, mette in luce la piena autenticità dell’interazione tra i soldati, accantonando inutili celebrazioni o esagerazioni cinematografiche. Realizzando, invece, quello che vuole essere un chiaro omaggio all’unità che si è ritrovata circondata nell’avamposto, attaccata da centinaia di talebani. Potrebbe quasi sembrare la replica di un western se non si trattasse di una storia vera. La prospettiva dell’assalto in quella che ora è conosciuta come la battaglia di Kamdesh occupa tutta la seconda parte del film. Seguendo le regole di tante altre pellicole recenti di genere bellico e vantando attori protagonisti che regalano la massima autenticità, da Scott Eastwood – che sembra ormai destinato a raccogliere l’eredità del padre Clint – a Orlando Bloom. Un episodio sicuramente sconosciuto al pubblico italiano e che nella seconda parte dell’insieme ci porta dentro lo scontro e la carneficina vissuta da questi soldati che si trovano loro malgrado a diventare eroi. E non è un caso alcuni dei veri partecipanti e sopravvissuti allo scontro, come Daniel Rodriguez, si trovino nei titoli di coda intervistati dallo scrittore Tapper.
Ricostruendo con accuratezza in The Outpost alla perfezione l’avamposto il regista Rod Lurie di origine israeliana, con un solidissimo curriculum di serie tv e pellicole, mette in luce la piena autenticità dell’interazione tra i soldati, accantonando inutili celebrazioni o esagerazioni cinematografiche. Realizzando invece quello che vuole essere (e riuscendoci a nostro avviso) un chiaro omaggio all’unità che si è ritrovata circondata nell’avamposto, attaccata da centinaia di talebani. Potrebbe quasi sembrare la replica di un western se non fosse una storia vera, la prospettiva dell’assalto in quella che ora è conosciuta come la battaglia di Kamdesh occupa tutta la seconda parte del film. Seguendo le regole di tante altre pellicole recenti di genere bellico,e vantando attori protagonisti che regalano la massima autenticità da Scott Eastwood a Orlando Bloom (e il primo sembra proprio ormai destinato a raccogliere l’eredità del padre Clint).
Un episodio sicuramente sconosciuto al pubblico italiano e che nella seconda parte dell’insieme ci porta dentro lo scontro e la carneficina vissuta da questi soldati che si trovano loro malgrado a diventare eroi. Mettendo in luce l’errore strategico di un luogo praticamente indifendibile, e i tanti problemi mai risolti ancora oggi con il prossimo, forse, ritiro delle forze americane ed anche italiane dall’Afghanistan. E non è un caso che troviamo alcuni dei veri partecipanti e sopravvissuti allo scontro, come Daniel Rodriguez, il quale con altri soldati li troviamo nei lunghi titoli di coda intervistati dallo scrittore Tapper.
Una pellicola che meritava l’uscita sul grande schermo ma che potrete godere con il dvd e blue ray distribuiti dal primo aprile dalla Eagle Pictures (che contiene un dietro le quinte nella sezione extra) e la pellicola è da poco disponibile anche su varie piattaforme in streaming. Lo stesso regista Lurie ha considerato uno sfortunato evento quello che ha privato il pubblico americano e mondiale dalla visione sul grande schermo, anche se alla fine il messaggio della pellicola arriva, e il film merita di essere visto non solo dagli appassionati del genere, ma anche dal grande pubblico per comprendere meglio una storia fatta da semplici ragazzi vittime di errori di strategia, colpevoli di ritrovarsi nel luogo sbagliato al momento sbagliato, e nonostante tutto capaci di reagire per difendere i loro compagni e la divisa che rappresentano in un episodio che giustamente viene raccontato e celebrato per ricordare i caduti di questa battaglia.
(Articolo scritto con la fondamentale collaborazione di Marco Leofrigio)
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