Gli scatti di Raimondo Rossi sfidano i pregiudizi mostrando la ricchezza della diversità culturale. Il fotografo, in arte Ray Morrison (qui per il suo profilo Instagram), si è avvicinato alla fotografia da bambino. Complici i viaggi in giro in camper in Europa, Raimondo amava osservare la madre che si dilettava a scattare con la macchina fotografica. Dopo essersi laureato in matematica, Raimondo ha scelto di intraprendere una strada diversa. Ha frequentato dei corsi specializzandosi in quella passione che si è poi tramutata in un lavoro. Oggi, il suo nome si è accreditato come uno dei più famosi a livello internazionale tanto che lo scorso anno è riuscito a conquistare la copertina del prestigioso magazine newyorkese Compulsive. Raimondo Rossi è un vulcano di creatività e idee. Conosciamolo meglio in questa intervista in cui Raimondo si è raccontato a 360 gradi.
L’idea della prima raccolta è nata durante il lockdown. Ho sentito l’esigenza di iniziare a dare ordine a tanti scatti che avevo collezionato negli ultimi anni, perché potessero essere utili non solo per le mie gallerie su Vogue o altre riviste, ma anche per chiunque fosse appassionato di fotografia, principiante o professionista. Così, il primo libro è strutturato affinché possa essere fonte di ispirazione e consigli per il lettore. Sono davvero contento dell’accoglienza che ha ricevuto in varie nazioni.
Qual è stata la prima fotografia fatta che ti ricordi? Cosa ti ha spinto a fare quella fotografia?
Non ricordo esattamente la prima fotografia che ho scattato, ma ricordo che fin da piccolo mi piaceva maneggiare la macchina fotografica. Quelli che mi ricordo di più sono gli scatti che ho realizzato durante le uscite del primo corso di fotografia a cui ho partecipato. L’idea per me fu subito quella di osservare il mondo con un’attenzione più profonda.
La ritrattistica è una componente molto importante del tuo lavoro. Come ti approcci ai tuoi soggetti?
Nella maniera più naturale possibile. Si parla un attimo, ci si rilassa, si inizia a scattare. Pian piano li porto con me e li guido in un’esperienza di condivisione. I soggetti più difficili sono di solito i soggetti molto timidi o quelli con troppa esperienza.
Il lockdown ci ha costretto a guardare il mondo da un altro punto di vista. Come hai vissuto quel periodo?
Direi che nella grande difficoltà che tutti abbiamo incontrato nell’affrontare quel periodo, qualcosa di buono c’è stato. Anzi nel mio caso c’è stata una riscoperta della natura e della sua forza, dei rumori, dei suoni e dei colori che, troppo abituato ai contesti metropolitani, tendevo a trascurare. Inoltre, grazie a Internet, ho portato avanti vari progetti ed è stato proprio durante il lockdown che sono uscito in copertina in tutti gli Stati Uniti, in una storia che parlava in profondità del mio mondo. Nel contempo ho ampliato i contatti newyorkesi e californiani.
Il tuo lavoro è multidisciplinare in quanto abbraccia anche la moda. Come riesci a conciliare l’estetica con il contenuto?
Pur imbattendomi quotidianamente nell’estetica fine a se stessa, la trascuro. Per questo motivo cerco di non metterla in evidenza nelle cose che faccio. Dai video che ho diretto alle fotografie che ho scattato, qualunque spettatore nota prima di tutto la profondità dei personaggi e pochissimo la parte puramente estetica. A questo punto mi viene da ringraziare la giornalista della “Voce di New York” che in una lunga analisi di uno dei miei video ha notato appieno quanto di Barbie e Ken io davvero non sappia che farmene, perché mi annoiano terribilmente.
Siamo tutti fotografi con il telefonino? Una generazione di fotografi ha perso lavoro…
Nella moda, nello spettacolo e nella stampa tendo ad essere contrario alle caste che si oppongono alle novità e che tendono a proteggersi. Quindi per me ben vengano nuovi talenti, sia che essi si esprimano con il telefonino sia che si esprimano con la macchina fotografica. Non per nulla uno dei fotografi che più viene apprezzato ora da global Vogue fa dei meravigliosi lavori solo con il telefonino. Se perdi il lavoro è perché avevi qualcosa che già non funzionava.
Purtroppo non ho la TV e non vedo il Festival di Sanremo. Qualche volta mi diverto a vedere i look del Met Gala, e qualcuno creativo ce n’è. Diciamo che è piuttosto difficile che una manifestazione come Sanremo possa offrire qualche spunto interessante a livello di look innovativi e allo stesso tempo eleganti. I personaggi vanno a privilegiare i soliti stilisti, e alla fine si perde la connessione fra viso ed abito, come successo ultimamente ai Måneskin.
Senza dubbio l’ultimo premio che riceverò negli Stati Uniti in un prossimo evento Los Angeles, un Award che viene dato a persone che sono di ispirazione per gli altri. Ne vengono assegnati cinque all’anno, quindi sono molto felice di essere entrato nella cinquina.
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