Dall’inizio del 2022 la capitalizzazione totale del mercato delle criptovalute è crollata del 35% bruciando oltre 1400 miliardi di dollari, con una perdita di oltre 4 mila posti di lavoro.
Il cosiddetto “secondo crypto inverno” ha avuto due conseguenze fondamentali. In primo luogo, chi investiva nel mercato delle criptovalute ora è molto più cauto e “rischia” cifre più basse, vista l’incertezza. La seconda conseguenza, correlata alla prima, è che il pessimismo degli investitori si riversa anche sulle casse delle aziende che operano in questo settore, visti i volumi di negoziazione mediamente più bassi. Per questo, nei primi sei mesi dell’anno, 21 tra le principali società operanti nel mondo crypto hanno licenziato un totale di 4120 dipendenti. Tra le più note in Italia ci sono Coinbase (1.100 licenziamenti su 6.111 dipendenti); Crypto.com (260 licenziamenti su 5.200), Gemini (100 su 1.000), BitMEX (75su 300), e il noto market di NFT Opensea che ha licenziato 150 dipendenti su 750. eToro e Robinhood, due piattaforme che offrono non solo il trading di criptovalute, hanno anch’essi licenziato dei dipendenti (rispettivamente 100 e 340).
“Sebbene il mercato crypto abbia subito un forte colpo anche per cause di forza maggiore come la pandemia o il conflitto ucraino, le dichiarazioni dei Ceo dei maggiori exchange mondiali lasciano pensare che forse questo grosso numero di licenziamenti era evitabile – sottolinea Filippo Ucchino, amministratore di InvestinGoal, che ha sviluppato e pubblicato il report -. Il mercato delle criptovalute, infatti, è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni, e in diversi casi questo ha portato gli exchange e le aziende del settore a non badare troppo a spese gestendo male le risorse a propria disposizione. Il mercato crypto è stato quindi troppo fiducioso, e questa fase negativa transitoria porterà i progetti più solidi e virtuosi a riadattarsi e ripartire una volta terminato il periodo di crisi, ma porterà inevitabilmente anche alla chiusura di tutte quelle attività che non riusciranno a farlo”.
Come evidenziato nel report, in questa situazione gli Stati si stanno muovendo per rafforzare le normative. La crisi delle criptovalute ricorda quanto successo in Europa nel 2015, dopo che la crisi causata dal crollo del cambio EUR/CHF ha fatto fallire broker e indebitato trader. Questo evento ha portato l’ESMA (l’ente che monitora i mercati finanziari europei) a discutere una regolamentazione europea comune sul forex, la MiFID II, che tutti gli intermediari avrebbero dovuto rispettare per operare nel territorio Ue.
A seguito dei recenti eventi nel mercato, numerosi Stati e istituzioni hanno iniziato delle consultazioni per capire come regolamentare le attività in ambito crypto. In genere i punti toccati dalle istituzioni per regolamentare gli investimenti in crypto sono tre: la lotta al riciclaggio di denaro; la protezione dei consumatori; la regolamentazione della pubblicità a favore delle crypto attività.
L’UE fa parte delle istituzioni che si sono mosse per cercare di regolamentare i MiCA (mercati delle cripto-attività) che ad oggi sono rischiosi per tutte le parti in gioco. L’accordo provvisorio del 30 giugno 2022 ha toccato diversi temi: chi fornisce servizi sul mercato crypto deve avere un’autorizzazione nazionale per operare (il Registro OAM nel caso dell’Italia); i token basati su una valuta non europea dovranno aprire una sede legale in Ue; i fornitori di stable coin dovranno possedere una riserva in denaro liquida in rapporto 1/1 rispetto al numero di stable coin; la normativa anti-riciclaggio (AML) ora si applica anche a chi fornisce servizi in ambito crypto.
Ad oggi il MiCA è un accordo provvisorio, ma quando verrà reso vigente renderà l’UE una delle aree meglio regolamentate per il trading di criptovalute, con benefici sia per gli exchange che per i consumatori.
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