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La banda dei tre, Intervista al regista Francesco Maria Dominedò

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arco Bocci e Francesco Maria Dominedò

Su Sky Premiere è sbarcato il film “La banda dei tre”, commedia che stravolge i canoni classici del noir e che gioca sempre sul filo del grottesco e dell’ironia, basata sul romanzo omonimo del 2003 scritto da Carlo Callegari.

A dirigere il film, che vanta un cast di rilievo comprendente, tra gli altri, Marco Bocci, Francesco Pannofino, Carlo Buccirosso e Francesca Della Ragione, il regista Francesco Maria Dominedò, che ha realizzato anche la sceneggiatura. “Un omaggio a tutti i cosiddetti perdenti o diversi” commenta Dominedò, che con grande soddisfazione ha già cominciato a raccogliere i primi riconoscimenti: nel 2020, infatti, “La banda dei tre” ha vinto il premio “Miglior sceneggiatura” al Terra di Siena International Film Festival e “Miglior Regia” al CROFFI (Castelli Romani Film Festival).

Francesco, come nasce l’idea di portare “La banda dei tre” sul grande schermo?

Nasce per caso. Era da tempo che cercavo un soggetto che mi piacesse. Avevo girato da poco il mio primo film “Cinque”, che era nato su “commissione”, e una mattina, mentre camminavo sotto casa mia in compagnia del mio cagnolino Nino, sono rimasto colpito dalla copertina di un libro che spiccava dalla vetrina della libreria Fanucci, da poco aperta nel mio quartiere: tre sagome nere di varie misure e forme con accanto a loro un metro ed un titolo “La Banda dei Tre” con tanto di timbro. In un battibaleno sono entrato e l’ho acquistato. Sembrerà banale ma sin dalla prime righe mi hanno conquistato i personaggi che mi hanno immediatamente ricordato i “meravigliosi perdenti” di Alan Ford e del Gruppo TNT. Ho divorato il libro in poche ore e il giorno seguente ho contattato lo scrittore Carlo Callegari su Facebook facendogli i complimenti e, senza troppi giochi di parole, gli ho detto che mi sarebbe piaciuto trarre un film dal suo romanzo. La mattina seguente sono partito per Padova, dove vive e lavora Carlo, e l’ho incontrato. C’è stata subito una forte empatia e dopo una serata a chiacchierare, il giorno seguente ero di nuovo in auto verso Roma, più specificatamente verso l’editore Sergio Fanucci per acquistare i diritti di sfruttamento cine/tv del libro. Non scorderò mai il sorriso che mi ha accompagnato per tutto il viaggio di ritorno…

E’ stato complicato adattare il romanzo?

Sì, in parte lo è stato non tanto per la struttura narrativa quanto per la complessità degli accadimenti che non potevano rientrare in una media di 1 ora e mezza del film. Il primo passo è stato quello di trasporre il libro in sceneggiatura usando i paragrafi e capitoli del libro stesso. Poi c’è stata la parte più complicata, quella di smontare la struttura, anticipare delle scene (come, per esempio, la presentazione della protagonista femminile Francesca Della Ragione) e modificare l’aspetto fisico di Silvano (interpretato da Francesco Pannofino): l’originale, infatti, era alto due metri, magro, ex tossico e senza denti: io, per modificarlo, mi sono ispirato ad uno degli eroi della mia infanzia, Bud Spencer.

Da dove nasce la tua passione per il cinema?

Il cinema mi ha sempre cullato e distratto, dato gioia anche quando magari non c’era un grande motivo di averne. Sono figlio di genitori separati e il sabato spesso lo passavo dentro un cinema che si chiama Mignon che aveva una programmazione che adesso sembrerebbe strana. Si pagava un’entrata e con un biglietto si potevano vedere più spettacoli: dai polizieschi ai spaghetti western passando per i grandi classici delle commedie all’italiana. Ecco, io in quelle ore mi perdevo e venivo rapito da storie credibili e non che mi rendevano felice. Per questo ho sempre amato il cinema: rende felici, fa sognare e spero in futuro di poter far sognare qualcuno nel mio piccolo anche io.

Qual è il regista a cui ti ispiri maggiormente?

Sono tante le pellicole e i registi a cui mi ispiro. Vanno da “Lo chiamavano Trinità” al musical rock “Tommy” di Ken Russell, passando per Totò, i polizieschi all’italiana e film cult come “Miracolo a Milano” di De Sica o “Il Sorpasso” del Maestro Dino Risi. Sono molto attratto dall’aspetto visivo e dalle novità di linguaggio e considero il montaggio la terza regia di un film: la prima è la scrittura, la seconda è il girato vero e proprio. Al momento mi piace molto Guy Ritchie: io sono per le mescolanze e lui unisce più generi. Ha una visione POP d’autore e vorrei fosse quello il mio obiettivo.

Come stai vivendo questo periodo di stasi?

Sono stato fortunato in questo periodo. Lo dico con un po’ di vergogna perché c’è gente molto più brava di me che sta a casa e non trovo sia giusto. Ho lavorato ad un paio di sceneggiature su commissione. Quando non faccio il regista lavoro come Creative Producer (un modo americano per definire quello che una volta si chiamava Direttore Artistico) per delle società di cinema.

Progetti in cantiere?

Ce ne sono diversi: un paio di film, “Capitan Amerigo” e “Le Disobbedienti”, ed un libro a quattro mani che sto scrivendo proprio con Carlo Callegari. Peraltro ho appena acquistato i diritti dell’ultimo libro di Callegari “Ling gao Gang”: un gruppo di portatori di handicap vengono assoldati per risolvere un’enorme truffa ai danni di una famosa piattaforma di e-commerce. Un romanzo che vive la disabilità oltre gli stereotipi.

 

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